Le sette fasi storico-stilistiche di Dungeons & Dragons
Oggi come oggi dire Dungeons & Dragons equivale a dire tutto e nulla. Stiamo parlando infatti, non di un semplice gioco, ma di un vero e proprio fenomeno culturale che ha influenzato diversi ambiti della società, da quello dei videogiochi a quello letterario, passando per il cinema.
D&D si è progressivamente staccato dagli stereotipi fantasy delle origini, per dar vita nel tempo ad uno stereotipo fondato su se stesso: D&D è autoreferenziale, un mondo parallelo con una sua logica interna fatta di monaci orientali che vanno a braccetto con paladini delle ballate medievali, elfi tolkieniani, barbari howardiani e guerrieri che impugnano spade senzienti moorcockiane, che combattono insieme contro Smaug, Belzebù e persino Cthulhu.
Se ci limitiamo a parlare del gioco di ruolo vero e proprio però, tralasciando l’universo immaginario di riferimento, ci rendiamo ben presto conto del fatto che ciascun giocatore ha la sua idea di cosa sia D&D: se interpellate qualcuno che ha iniziato con la scatola rossa negli anni ’80, sicuramente vi riferirà di concetti ed esperienze di gioco completamente diverse da quelle di chi, per dire, si è fatto le ossa con la seconda edizione di AD&D negli anni ’90.
Questo perchè Dungeons & Dragons ha una storia lunga, lunghissima. Ha attraversato diverse fasi (o epoche, se vogliamo) della storia dell’hobby e ogni volta ha cambiato pelle, cercando di adeguarsi a quello che era lo spirito del tempo. Proprio per questo motivo siamo passati dai claustrofobici dungeon di matrice gygaxiana e dai mash-up fantasy-fantascienza arnesoniani delle origini al narrativismo spinto di David Zeb Cook, per poi abbracciare il lato tattico-regolistico con l’altro Cook (Monte) e infine tornare un pò alle origini con l’attuale Quinta Edizione.
Da quanto detto finora si comprende il motivo per cui non si ha ancora una definizione certa di cosa sia D&D. Tuttavia, riflessioni come quella di Armchair Gamer su rpg.net, che mi accingo qui a tradurre in italiano (in maniera libera e parziale, arricchendola con le mie osservazioni) possono aiutare chi è interessato per davvero alla questione a prendere possesso di una visione d’insieme, ovvero dell’intero corso evolutivo di Dungeons & Dragons.
Armchair Gamer distingue quindi sette stili (flavors) di gioco associabili a Dungeons & Dragons, collocandoli temporalmente (ecco perchè ho usato l’aggettivo “storici”) e includendo gli elementi che li contraddistinguono. Lo scopo di questa riflessione non è affatto quella di creare una “teoria” su cui giurare con la mano sinistra, ne quella di mettere a confronto i vari stili per decretare quale sia il migliore.
L’obiettivo, a detta dell’autore stesso, è invece quello di andare oltre la falsa dicotomia “new school vs. old school” che è superficiale e di classificare invece le varie incarnazioni di D&D secondo lo stile di gioco ad esse associate: ciascuna “fase” indica infatti diverse priorità e un modo diverso di approcciare il gioco stesso.
Dal canto mio ho interpretato le riflessioni di Armchair Gamer in un’ottica di evoluzione storica, cercando di dare una spiegazione del passaggio da uno stile all’altro e interpretando lo stile di gioco come il riflesso dello spirito del gioco , che a mio modo di vedere è più adatto a descrivere l’insieme di regolamento, obiettivi dell’autore e “sentire” della comunità dei giocatori di ruolo di un dato periodo storico.
E’ mia convinzione infatti che lo spirito del gioco di una determinata versione di D&D rispecchi pur sempre lo spirito del tempo in ambito giocoruolistico: se si accetta questa mia ipotesi allora la riflessione che segue può veramente aiutare a comprendere i vari stadii che il nostro hobby ha attraversato in più di 40 anni di onorata carriera.
Chi è in grado di leggere l’inglese potrà trovare il post originale datato 2012-13 di Armchair Gamer qui e qui: questo è importante per chi vuole rendersi conto di dove terminano le riflessioni dell’autore originale e dove iniziano le mie, perchè nel testo che vi accingerete a leggere non ho separato le due (motivazione: avrei reso meno coeso l’articolo e più difficile seguirne il filo logico).
Premessa
Questo articolo non può e non vuole essere una ricostruzione fedele al 100% della storia di Dungeons & Dragons. Le date sono indicative e servono soltanto a dare al lettore un’idea di come collocare cronologicamente le varie “fasi” dell’evoluzione del gioco e gli stili che l’hanno contraddistinto; ma si tratta di approssimazioni. Chi cerca una disamina filologicamente corretta della storia dell’hobby invece, farebbe meglio a rivolgersi a testi quali Playing at The World di Jon Peterson.
Gli stili poi si sovrappongono cronologicamente, perché in ciascuna fase potevano convivere diversi stili (e anche perchè ogni versione di D&D può supportare più di uno stile). Ribadisco infine che le riflessioni originarie e la classificazione degli stili sono merito di Armchair Gamer: io ho soltanto parzialmente tradotto il suo articolo utilizzandolo come punto di partenza per alcune considerazioni personali, che potrebbero quindi non riflettere il punto di vista dell’autore originale. Buona lettura !
Knaves & Kobolds (1972-77, 2005+): il Dungeons & Dragons originario
Sistemi di riferimento: OD&D (1974), Holmes D&D (1977), B/X (1981), retrocloni vari (2005+)
Moduli di riferimento: La Rocca sulle Terre di Confine, Caverns of Thracia, Moduli Judges Guild
L’indimenticato “Fighting Man” dell’OD&D non sa ancora che Dungeons & Dragons è destinato a diventare un fenomeno culturale…
Possiamo tradurlo in “Canaglie e Coboldi”, laddove le Canaglie sono i Personaggi ovviamente. Si tratta dello stile nativo di D&D, quello originario del 1974, ripreso poi dal movimento Old School negli anni 2000. Siamo all’alba del gioco di ruolo e l’hobby non è ancora consapevole delle proprie potenzialità: i dungeon non hanno molta logica e nessuno si preoccupa troppo di come funziona davvero una data trappola o di cosa si nutrono i mostri. Tutto ruota attorno alla meraviglia verso questo nuovo modo di giocare: il divertimento è nell’esperienza di gioco stessa, non nell’interpretazione del ruolo o nella costruzione del Personaggio migliore (come testimonia Greg Svenson nell’intervista rilasciata a GDR Magazine).
A livello di gioco, questo stile primordiale è caratterizzato da un’elevata mortalità dei Personaggi (elevata se paragonata a quella dei D&D odierni, naturalmente) e dall’importanza rivestita dai tesori, quale unico fattore di avanzamento.
Questi due elementi portano con sè diverse conseguenze, come il minore attaccamento dei Giocatori ai loro Personaggi (se possono morire all’improvviso, perchè dotarli di background chilometrici ?), la semplicità del processo di creazione del Personaggio stesso (la mortalità è frequente quindi devo poter creare un nuovo Personaggio velocemente), la moralità dubbia (ecco perchè Canaglie: se per avanzare ci vuole la pecunia allora tutto è lecito purchè io possa ottenere tesoro, diventare più forte e morire meno facilmente) e la “scala” di potenza degli avversari molto contenuta (se i Personaggi sono fragili di per sè non c’è bisogno di Demoni e Draghi per metterli in difficoltà ma sono sufficienti una manciata di Coboldi, che danno il nome allo stile).
L’arricchimento eccessivo dei Personaggi porta inoltre gli autori ad escogitare sistemi per far si che questa montagna di denaro inerte possa essere investita in qualcosa di utile e durevole, per portare il gioco ad un nuovo livello, quello “politico”: stiamo parlando degli end-game, ovvero castelli e fortezze (di cui parleremo meglio quando affronteremo lo stile Castles & Cronies).
Tutto ciò porterebbe ad altre considerazioni che evito di fare per non allungare ulteriormente il brodo. Aggiungo soltanto che l’equazione “tesori = avanzamento” nello stile K&K può trarre in inganno, perchè il tesoro non è altro che uno stimolo all’esplorazione del mondo fittizio, giacché le monete d’oro non crescono nel giardino di casa.
Dungeoncrawling & Demons (1977-86, 2000+): D&D diventa Advanced
Sistemi di Riferimento: AD&D (1979), D&D 3.X (2000+)
Moduli di Riferimento: Temple of Elemental Evil (1985), Dungeoneer’s Survival Guide (1986)
Questa è l’epoca del D&D Gygaxiano, in cui il gioco di ruolo si coerentizza in sistemi elaborati, corposi e orientati più alla tattica e al combattimento che all’esplorazione del mondo fittizio. Si può dire metaforicamente parlando (ma manco troppo metaforicamente, visto il deteriorarsi dei rapporti tra i due) che con la transizione da Knaves & Kobolds a Dungeoncrawling & Demons, Arneson fa un passo indietro rispetto a Gygax.
I dungeon, specie quelli definiti come Megadungeon, la fanno da padroni: con la pubblicazione dei tre manuali base di Advanced Dungeons & Dragons Gary non fa più mistero della sua predilezione per le avventure ambientate in interminabili complessi sotterranei ricchi di trappole e mostri, tanto da implicare in esse persino un’ecologia del dungeon (il cosiddetto Naturalismo Gygaxiano), una logica interna in contrasto con l’ironia e l’illogicità dei dungeon dello stile precedente (come Caverns of Thracia).
E’ l’epoca della supplementite acuta: Gygax passa dal celebre motto “Ai DM non dobbiamo far sapere che possono giocare di ruolo anche senza regole” (tipico dello stile precedente) alla pubblicazione di AD&D (la coerentizzazione ufficiale della non-struttura del D&D originario) e soprattutto di Unearthed Arcana, il primo vero supplemento ad inaugurare la moda del “più roba c’è, meglio è”, anche a costo di stravolgere lo spirito originario del gioco (cosa di cui il buon Gary si pentirà pubblicamente in tarda età).
I gdr, in pratica, diventano una roba seria. Non più l’avventura a cuor leggero dello stile precedente dove nei dungeon ci si poteva imbattere in fast food tipo McDonald’s (Mike Mornard); non più manualetti di poco più di 50 pagine, con regole appena accennate e tutto il resto nelle mani del DM. Ora si fa sul serio, come sembra volerci ammonire la copertina di AD&D: ora Dungeons & Dragons è Advanced.
A Paladin in Hell, di David Sutherland, è l’illustrazione che meglio di tutte racchiude l’essenza dello stile Dungeoncrawling & Demons
Questo si traduce, ad esempio, in un sistema di combattimento di gran lunga più elaborato e tendente al simulazionismo. Ma anche negli altri comparti si respira lo stesso spirito: compaiono regole precise su come reclutare mercenari e creare veleni; ma soprattutto, ci sono miriadi di tabelle per gli usi più svariati, dai classici incontri casuali alla creazione di PNG, dalla descrizione di malattie infettive alla tabella delle prostitute cui è possibile imbattersi in città. Nel Manuale del DM, Gary inizia anche a parlare di elementi realistici nelle ambientazioni (Milieu) come sistemi di governo ed economia.
A livello di gioco lo stile Dungeoncrawling & Demons rispecchia l’esasperazione verso il simulazionismo in voga allora, con i Giocatori intenti a pianificare attentamente le loro incursioni e la strategia da adottare nei combattimenti, una maggiore attenzione ai vari elementi che costituiscono il Personaggio (ad esempio alle conseguenze che la scelta di una data Razza o Classe, o combinazione di esse, può comportare a livello di gioco), per via di una maggiore consapevolezza da parte loro dell’impatto delle regole sull’esperienza di gioco assente nello stile precedente, imperniato invece sulla semplice esplorazione.
Ricordiamoci inoltre che nel 1978 esce Runequest, che per molto tempo rappresenterà l’unica alternativa a D&D per chi cerca un fantasy più realistico; nel ’77 invece era uscito Traveller, forse il primo gdr ad inaugurare il genere simulazionista per via del tono impersonale con cui venivano illustrate le regole, l’utilizzo di termini scientifici e l’attenzione (inusuale all’epoca) posta sulla verosimiglianza di procedure e sistemi. Tutto ciò avrà sicuramente influenzato il D&D di questo periodo.
Questo è anche lo stile cui idealmente si rifà il primo D&D non TSR, ovvero la versione 3.x della Wizards of The Coast (che poi si evolverà nello stile Simulations & Spellcasters). Vi ritroviamo infatti tutti gli elementi già citati prima: supplementite acuta, attenzione rivolta alla creazione del Personaggio e al combattimento, simulazionismo. Monte Cook stesso ha ammesso placidamente di essere un fan dell’AD&D Prima Edizione e di Rolemaster, per il quale aveva anche scritto alcuni supplementi: basta dare un’occhiata al sistema di abilità del suo D&D per averne conferma.
Gamma Rays & Godslayers (1974-80+): il fantasy incontra lo sci-fi
Sistemi di Riferimento: AD&D + Unearthed Arcana (1986), BECMI (1983)
Moduli di Riferimento: Blackmoor (Temple of The Frog), Arduin Grimoire, Deities & Demigods, Gamma World
Dungeons & Dragons cresce in popolarità e prende coscienza del proprio potenziale: non ci si accontenta più quindi di dungeons, castelli e atmosfere medievaleggianti, ma si passa alla commistione di generi differenti. I Personaggi poi, specie con l’avvento di Unearthed Arcana, divengono di gran lunga più potenti e in grado di affrontare persino gli Dèi. Si iniziano a sperimentare combinazioni Razza-Classe fino ad allora impensabili, grazie al via libera di Gygax nell’UA. Tutto è possibile, sembra essere il motto di questo stile.
Un gruppo di avventurieri, tra cui un mago armato di fucile laser, fronteggia alcuni rettiloidi: è la copertina di Temple of The Frog, un mash-up tra fantasy e science fiction
D&D si espande a tal punto che supplementi fan-made e versioni modificate del gioco divengono la norma in questo periodo. Ogni gruppo ha le proprie house-rules (Perrin Conventions, Rythlondar), ogni Università ha la sua “variante” di D&D personalizzata (ad esempio Warlock, il D&D sotto steroidi della Cal-Tech, la California Institute of Technology) e questo porta anche alla contaminazione con altri generi: visto che parliamo degli anni ’70/primi anni ’80, questo genere aggiuntivo non poteva che essere quello della fantascienza, come avviene ad esempio in Arduin (ma non dimentichiamoci che già Dave Arneson nel suo Blackmoor aveva incluso elementi presi a prestito dalla sf).
Non per nulla in quegli anni la TSR pubblica la prima edizione di Gamma World, il primo gioco di ruolo postnucleare, con un regolamento differente ma pur sempre compatibile con quello del suo prodotto di punta, mentre nell’82 pubblicherà Star Frontiers, fantascienza “canonica”; non dimentichiamoci poi che nel 1977 era nato il primo gdr di fantascienza in assoluto, Traveller, che abbiamo affrontato brevemente nel paragrafo precedente.
A livello di gioco nello stile Gamma Rays & Godslayers si è più inclini ad accettare qualsiasi elemento che possa portare una ventata di freschezza nell’aria viziata dell’ormai stantìo dungeon. Tutto va bene, purchè sia “cool”. Il realismo tanto in voga nello stile precedente viene accantonato e anche i Personaggi sviluppano poteri fuori dalla norma, per affrontare ostacoli di gran lunga più minacciosi rispetto a quelli degli stili precedenti, fino a diventare divinità essi stessi (vedi BECMI, dove i Personaggi possono raggiungere il 36esimo Livello e persino ottenere il rango di Immortali).
Castles & Cronies (1985+ ?): il manager fantasy
Sistemi di Riferimento: BECMI (1983), AD&D 2E (1989)
Moduli di riferimento: Birthright (1995)
Su questo stile mi soffermerò poco perchè è in pratica una ovvia conseguenza di Knaves & Kobolds, ma soprattutto dei due stili successivi. Deriva dall’eccesso di ricchezza accumulato dai Personaggi a causa della generosità di alcuni moduli di avventura, compresi oggetti magici e seguaci.
A questo livello, che cronologicamente corrisponde grosso modo agli ultimi anni della TSR, i Personaggi si trasformano in manager impegnati a gestire tutte le risorse (monetarie, umane e magiche) accumulate fino a quel momento. La scala da individuale diventa politica e l’avventura perde il suo ruolo chiave. Se di avventura si tratta, lo scopo è sempre quello di salvare il proprio dominio da minacce esterne.
Personalmente non avrei incluso affatto questo stile in quanto lo ritengo poco rilevante nella storia di Dungeons & Dragons, ma per amore di completezza ho ritenuto opportuno dedicargli un pò di spazio.
Paladins & Princesses (1983-98): la Storia prima di tutto !
Sistemi di Riferimento: AD&D 2E (1989), D&D 4E (2008)
Moduli di Riferimento: Dragonlance e avventure correlate (1984+), Ravenloft (1983), Pathfinder Adventure Paths (2007+)
Questo stile, per molti veterani di Dungeons & Dragons, segna l’inizio della fine. Gygax viene cacciato dalla TSR nel 1985 e successivamente David “Zeb” Cook viene incaricato di sfornare una nuova edizione di AD&D, la seconda per l’appunto, nell’ottica di tagliare definitivamente i ponti col Buon Colonnello.
Nel frattempo in casa TSR era entrato il nuovo acquisto Tracy Hickman autore dei moduli Pharaoh (1980) e Ravenloft (1983), una delle avventure più popolari di Dungeons & Dragons; Tracy è anche l’autore (assieme a Margaret Weis) della popolare saga fantasy Dragonlance (1984), evento questo, che dobbiamo tenere in considerazione per capire quanto segue.
Anche senza scomodare la serie di avventure ispirata a Dragonlance Dragons of Despair comunque, in cui lo stile Paladins & Princesses emerge chiaramente, i due moduli citati sopra contenevano già in nuce un concetto che diverrà poi un paradigma non solo della linea D&D (e che ritroveremo in versione ufficiosa in AD&D 2E) ma anche delle altre produzioni di giochi di ruolo del periodo: quello che viene definito Railroading. Questo stile può essere descritto brevemente come la priorità data alla storia rispetto a tutto il resto.
Paladins & Princesses: il romanticismo eroico e la “Trama” la fanno da padroni nel D&D dei tardi anni ’80 e ’90. Notare le tavole “barocche” e i soggetti autocelebrativi di Larry Elmore, in aperto contrasto con il tratto primitivo e col sanguigno chiaroscuro dei D&D precedenti
Questa concezione, che poi sfocerà nel narrativismo della middle school (il cui massimo esponente sarà Vampiri) prevedeva una scaletta di eventi prefissata cui i Giocatori non potevano sottrarsi in alcun modo. I Personaggi non erano più Canaglie (Knaves & Kobolds), Esploratori (Dungeoncrawlers & Demons) o Uccisori di Dèi (Gamma Rays & Godslayers) ma Eroi romantici, impegnati non più nel saccheggio di sotterranei abbandonati, ma in saghe epiche dal lieto fine.
I Personaggi quindi non sono più il mezzo tramite il quale il Giocatore fa esperienza del mondo di gioco, ma protagonisti di una storia “a tappe forzate”. L’elemento casuale viene visto come negativo, tantopiù che nell’AD&D 2E (come già nel BECMI) ci viene esplicitamente detto che non solo è lecito, ma anche necessario modificare i risultati dei dadi per salvare la pelle ai Personaggi.
La mortalità, da fattore integrante del gioco e stimolo a migliorarsi (superare gli ostacoli facendo affidamento sull’intelligenza del Giocatore anzichè sui valori numerici del Personaggio) diviene uno strumento punitivo da evitarsi ad ogni costo. Gli Eroi infatti, in quanto tali, non possono morire e se proprio devono, che se ne vadano in gloria o in momenti drammaticamente appropriati e non a causa del capriccio dei dadi !
Tutto ciò, unito anche alle proteste dei benpensanti di allora, porta Dungeons & Dragons ad abbracciare il politicamente corretto. Se i Personaggi sono Eroi, difatti, essi debbono combattere il male e devono anche essere moralmente irreprensibili: in D&D non c’è più posto quindi per Demoni (che vengono pudicamente ribattezzati Baate’Zu e Tanar’Ri), poppute sirene e Assassini. Così come la morte ingiusta e non attinente alla “Storia”, anche le tematiche “adulte” vengono bandite dal gioco.
Nel frattempo il Railroading prospera anche nel resto dell’universo gdr. Una delle più amate e popolari campagne per Warhammer Fantasy Roleplay, ovvero The Enemy Within (1986) è un perfetto esempio di narrativismo (nonostante i Personaggi non facciano la parte degli Eroi, sono tuttavia obbligati a seguire una serie di eventi messi in moto da un caso di “scambio di persona” che sta alla base di tutta l’avventura); nel 1991 poi, come già accennato sopra, esce la prima edizione di Vampiri, un gioco di ruolo che rappresenta l’apoteosi del narrativismo e l’antitesi di Dungeons & Dragons.
Nel ’95 infine, complice una gestione fallimentare da parte del nuovo Boss Lorraine Williams (ma anche per via dell’esplosione di un nuovo fenomeno, Magic The Gathering) la TSR fallisce e viene acquisita dalla Wizards of The Coast, che traghetta D&D nel nuovo millennio.
Simulations & Spellcasters (2002+): il D&D del 2000
Sistemi di Riferimento: D&D 3.5 (2002+), Pathfinder (2009+)
Moduli di Riferimento: n/a
Si tratta del diretto discendente dello stile Dungeoncrawlers and Demons del quale rappresenta infatti una naturale evoluzione. Con l’avvento del Dungeons & Dragons 3.5 nel 2002 infatti, gli elementi già presenti nello stile summenzionato (simulazionismo e sovraccarico da supplementi) si metastatizzano e divengono il perno attorno a cui ruota il gioco.
La conoscenza approfondita del sistema diventa il requisito fondamentale, come dirà Monte Cook stesso; i Giocatori sono incentivati a creare il Personaggio perfetto tramite la sapiente combinazione degli elementi costituitivi dello stesso, nella fattispecie Razza-Classe-Talenti-Capacità.
“Ottimizzazione“, “Build“, “Gestalt” sono le parole d’ordine di questo stile, che non perdona affatto chi non ha voglia di studiarsi quintali di pagine di manuali e supplementi alla ricerca dei mattoncini adatti con i quali costruire il proprio alter ego programmandone in anticipo l’avanzamento dal Livello 1 al 20 ed oltre. Il gioco stesso sembra voler dire: studia le regole e vincerai D&D ! Se non le studi sarai condannato a giocare un Personaggio inutile e poco divertente.
I Personaggi inoltre abbandonano gli Archetipi rigidi (Guerriero, Ladro, Mago, ecc.) che avevano contraddistinto Dungeons & Dragons fin dagli albori, per abbracciare una forma più fluida (tipica del 21esimo secolo), risultante appunto dalla combinazione (Gestalt) di molteplici Archetipi. Il Personaggio diventa quindi qualcosa di elastico e mutevole, vista anche la libertà con cui è possibile cambiare Classe rispetto ai vecchi D&D.
Dungeonpunk: così viene spesso definita l’arte dell’era Simulations & Spellcasters. Il nostro stregone qui sopra ne rappresenta un ottimo esempio: spavaldo, con un pò troppe fibie e un taglio di capelli rubato a Sid Vicious
A livello di gioco puro vale quanto già detto a proposito dello stile Dungeoncrawlers & Demons con alcuni interessanti sviluppi, il più rilevante dei quali è il percepito predominio degli incantatori rispetto ai combattenti. Dico “percepito” perchè nei forum prosperavano analisi più o meno amatoriali, più o meno accurate del fenomeno, che in sostanza però si basavano piuttosto su una lettura pedantesca delle regole anzichè sull’esperienza di gioco reale.
Molti infatti accusavano gli “allarmisti” di cercare il pelo nell’uovo, visto che per ottenere i suddetti “uberPersonaggi” era necessaria prima di tutto una conoscenza enciclopedica dei manuali e dei supplementi; secondo poi, non tutti i DM accettavano tutti i supplementi al tavolo da gioco (ma i teorici del predominio degli incantatori la ritenevano una pratica scorretta); in terza analisi infine, le capacità dell’uberPersonaggio erano comunque subordinate al contesto e al tipo di situazione che di volta in volta si verificava in gioco.
Ma quando veniva fatto notare agli allarmisti che essi non stavano prendendo in considerazione tutti i fattori (situazione, contesto di gioco, inclinazione del Master e via dicendo) ma soltanto razionalizzando in maniera astratta ed esasperando alcune “falle” nel regolamento (del tutto invisibili tra l’altro ai non min-maxers), questi rispondevano che “il gioco deve funzionare a livello di regole prima di prendere in esame gli altri fattori”, il che equivaleva a dire che elementi quali inclinazioni ed esperienza dei giocatori, tipo di avventura giocata, background del Master e situazioni contingenti “in game” non avevano alcuna rilevanza nei giochi di ruolo.
Questa concezione totalmente astratta a mio modo di vedere è l’espressione più perfetta del servilismo nei riguardi della regola scritta (Rules as Written) che questo stile di gioco implicava: le regole non erano più uno strumento per interfacciarsi col mondo fittizio, piuttosto erano i Giocatori stessi ad essere diventati schiavi del regolamento, che fagocitava tutti gli altri aspetti dell’hobby. Il regolamento da “mezzo” era divenuto “fine”.
Warlords & Warlocks (2008+): bilanciamento a tutti i costi !
Sistemi di riferimento: D&D 4E (2008+)
Moduli di Riferimento: n/a
Sorto come reazione alle critiche di cui parlavamo sopra, questo stile è uno dei pochi che fa storia a sè, essendo associabile esclusivamente alla quarta edizione di Dungeons & Dragons. Armchair Gamer dice che in questa fase i Personaggi sono quasi sempre “non convenzionali” rispetto ai canoni del fantasy classico, ovvero appartenenti a Razze e Classi che non rispecchiano l’umanocentrismo del D&D tradizionale (in questo caso aggiungerei che è un’evoluzione del multiclassismo Gestalt della 3.5, il cui scopo implicito era quello di costruire Personaggi anti-convenzionali).
La cover del Player’s Handbook vol.2 esprime al meglio uno dei capisaldi stilistici della fase Warlords and Warlocks: i Personaggi umani e gli Archetipi convenzionali sono banditi, largo al bizzarro e all’inusuale !
Lo stile di gioco è un amalgama di Paladins & Princesses e Dungeoncrawlers & Demons, più orientato all’azione del secondo ma anche più “dark” rispetto al primo, improntato sull’azione e la tattica. Si focalizza infatti su una serie di incontri o scene prestabilite, ciascuno dei quali presenta minacce risolvibili con un’accorta strategia basata sull’utilizzo e gestione dei Poteri associati alle varie Classi.
Difatti per ovviare al problema percepito del predominio degli Incantatori che affliggeva il D&D precedente (che sostanzialmente monopolizzava le discussioni sui forum di gdr di allora), gli autori della Quarta Edizione avevano pensato di decostruire ciascuna Classe riducendola ai minimi termini (Poteri), la qual Classe così diventava semplicemente una somma di capacità costruite secondo una logica comune. Persino gli Incantesimi erano considerati Poteri e seguivano le stesse regole di tutti gli altri, con l’ovvio effetto collaterale di rendere le Classi tutte (apparentemente) simili tra loro.
Credo sia questo uno dei principali motivi dietro alla critica, piuttosto comune all’epoca, che accusava il Dungeons & Dragons della Quarta Edizione di non essere davvero D&D e di ispirarsi un pò troppo ai MMORPG e ai Boardgames (medium in cui l’elemento tattico e di costruzione del Personaggio hanno la priorità sul resto).
Questo, complice anche la volontà da parte della WOTC di riaccogliere tra le sue braccia molti fan di vecchia data (che nel frattempo erano migrati verso il D&D 3.x redivivus Pathfinder ma anche verso i retrocloni del movimento Old School) portò all’avvento di Dungeons & Dragons Quinta Edizione che, almeno negli intenti, doveva rappresentare l’edizione del gioco che avrebbe accontentato tutti; e quindi, secondo la nostra analisi, l’edizione che avrebbe supportato tutti gli stili di gioco che abbiamo visto finora. Una sorta di “D&D dei D&D”.
E il presente ?
La disamina di Armchair Gamer termina qui. Infatti nel 2012 si era ancora in pieno clima Warlords & Warlocks e la quinta edizione di Dungeons & Dragons non era ancora tra noi. Di acqua sotto i ponti ne è passata da allora e forse tra coloro che hanno avuto la pazienza di leggere l’articolo dall’inizio alla fine, c’è qualcuno che ha già pensato a quale possa essere lo stile da associare alla versione attuale di D&D. In tal caso, potete usare il box commenti qui sotto per descrivere questo stile e contribuire così all’articolo !
A me continua a dar fastidio l’associazione “Storia = Railroading” (sarà che io vengo ai GdR dai librogame) ma in effetti ai tempi di Vampiri era 99% delle volte così.
Non saprei come definire lo stile di D&D 5 perché lo conosco troppo poco, ma ha sicuramente uno stile totalmente diverso da tutti quelli fin qui presentati.
E vista l’ora vado a letto e magari continuo domani.
Buona notte!
Ciao 🙂
Ciao Red !
Purtroppo “Storia” è uno di quei termini che col tempo ha assunto significati diversi nell’ambito GDR. Gli Indie ad esempio, ti diranno che la Storia come la intendo io nell’articolo non è la “Story” che intendono loro e che non ha attinenza col railroading. Sarà.
Io, come si suol dire, ne ho viste di cose e ricordo benissimo il periodo in cui si è cominciato ad utilizzare il termine Storia, a ridosso della fine degli anni ’80/inizi ’90. Ed era sempre utlizzato per legittimare due concetti, ovviamente correlati: 1)la casualità è Male e 2)i Personaggi sono i protagonisti. Dall’unione di questi due elementi nascono tutte quelle convenzioni a cui ormai siamo abituati (perchè è ciò che avevamo davanti quando abbiamo iniziato a ruolare) ma che prima non esistevano: per esempio i premi per la Storia (gli obiettivi, che però sono “integrati” nella trama) e per l’interpretazione (che in AD&D era legata a quanto bene gioco il mio Personaggio secondo l’archetipo scelto e non a quanto drammatica, profonda e sfaccettata è la personalità alternativa che ho creato), il concetto secondo cui bisogna mettere un freno alla mortalità dei Personaggi (barando ai dadi, sostanzialmente) e la transizione verso avventure lineari “a tappe” che più che scenari aperti e modificabili, sembrano romanzi d’appendice.
Per cui anche a rischio di semplificare eccessivamente e di beccarmi pomodori in faccia, io ritengo l’equazione Storia = Railroading sostanzialmente valida: infatti è logico che se togli potere all’alea del dado, il motore del gioco può solo essere l’arbitrio del Master che in pratica agisce da “custode protettore della Storia” e naturalmente dei Protagonisti della stessa.
Ok, siamo un (bel) po’ OT ma qui bisogna capirsi su cosa si intende per Storia. Anticipando un articolo che pubblicherò l’anno di san mai ed il mese di san forse, per Storia intendo:
“Per storia intendo una trama (appassionante ed interessante) che si sviluppa nel contesto di gioco, esattamente come succede nei libri, film, fumetti, ecc. Per esserci una Storia è solitamente necessaria una struttura o, per meglio dire, un arco narrativo: un inizio, uno svolgimento ed una conclusione. L’inizio può essere a sua volta diviso in situazione iniziale e rottura dell’equilibrio iniziale con la presentazione dello status quo e l’arrivo di un problema, un conflitto, un dramma o qualsiasi altra cosa rompa questo status quo. L’inizio può essere anche in media res, con il problema, il conflitto od altro che sta già agendo, ma in ogni caso è sempre qui che viene presentato. Lo svolgimento è ovviamente la parte che porta la situazione dall’inizio verso la sua conclusione mentre la conclusione è il momento in cui tutta la trama arriva a compimento (di solito con la ricomposizione di un equilibrio che può essere lo stesso iniziale od uno diverso). A ciò si aggiungono tutta una serie di elementi che aiutano a far venir voglia di vedere come va a finire (colpi di scena, misteri che vengono pian piano svelati, ecc.).”
Faccio notare che è diverso dal “Narrativismo” (il perché, se vuoi, posso spiegartelo).
Ora, con questo termine di Storia, è benissimo possibile il Railroading, ma non c’è ugualianza:
“Anni di uso errato della Storia all’interno dei GdR ha causato una sorta di concezione che se la Storia è presente nel gioco allora è necessario il RailRoading. Il concetto è chiaro: se i personaggi devono fare questa, questa e quest’altra azione, allora non esiste possibilità di variazione. Ma anche qui si guarda il lato sbagliato della faccenda. Basta invece guardarlo da un altro punto di vista: i personaggi sono i protagonisti della Storia e le loro azioni ne causano lo svolgimento. Le loro azioni: parlare con i PNG, attaccarlo, minacciarlo, scegliere la strada a destra, a sinistra o tornare indietro, decidere di lanciare un incantesimo, quale incantesimo, che parole usare, come approcciarsi ai problemi… le azioni sono infinite ed ognuna avrà ripercussioni sullo svolgimento. I giocatori sono limitati solo dal personaggio: un Cavaliere della Tavola Rotonda non si comporterà come Lupin III e viceversa; Conan il Barbaro non si comporterà come Frodo Baggings e viceversa. Ogni personaggio ha modi diversi da approcciarsi ai problemi ed ogni personaggio prende parte a storie in un certo senso adatte a lui: non farai Hansel e Gretel con Conan il Barbaro e Red Sonia, ma userai due bambini!”
Qui poi ci possono essere altri argomenti, che sto sviluppando, sull’uso della storia nel GdR e perché è meglio che ci sia, ma è ancora in corso d’opera, quindi per ora lascio perdere 😉
Ciao 🙂
Figurati Red, non siamo OT: credo che questo scambio permetta invece ad entrambi di chiarire le nostre idee e chiarirle a chi legge 🙂
Faccio solo una piccola premessa onde evitare malintesi: non sto affatto dicendo (ne in questo commento, ne nell’articolo stesso) che la Storia sia il male assoluto: ci sono esempi di avventure godibilissime basate su questo concetto (il già citato Enemy Within ad esempio. A me personalmente non piace e le motivazioni che ho addotto sono del tutto razionali, non “di pancia”… ma non sto dicendo che non ci si possa divertire comunque in un’avventura basata su una Storia prefissata 🙂
La prima parte del tuo articolo (che a questo punto non vedo l’ora di leggere !) è essenzialmente esatta: quella è una Storia, ovvero una serie di eventi cui i Personaggi/Protagonisti non possono sottrarsi. Forse ci capiamo meglio se la mettiamo a confronto con uno scenario Sandbox o Dungeon: l’avventura che tu porti come esempio non necessariamente implica un Railroading è vero, ma c’è comunque un Inizio, uno Svolgimento e una Fine, come tu stesso fai notare. Queste categorie non fanno parte dei giochi di ruolo nella loro concezione originaria, ma sono mutuate dalla narrativa: quindi fumetti, libri, film, che hanno una struttura differente in quanto utilizzano elementi differenti (trama, protagonisti, climax, colpo di scena, ecc. ecc.) tutti assenti nei gdr.
A differenza del D&D originario, dove io non progetto alcun inizio, svolgimento e fine: io ti presento solo uno scenario, che tu decidi di affrontare come meglio credi o anche non affrontare, se vuoi: già qui c’è una bella differenza con la struttura che citi tu. Non c’è un “inizio” prestabilito nel dungeon: puoi decidere di entrare oggi, domani o fra mille anni. Puoi decidere di entrare da sud, nord, ovest e via dicendo e avrai sempre risultati diversi. Ovvio che anche qui c’è un minimo di Railroading (il numero delle entrate è limitato), ma una volta all’interno del dungeon, i Giocatori non sono costretti ad affrontare le scene (stanze) “in sequenza” come accade nell’avventura da te esemplificata: ci sono delle stanze, ma i Giocatori possono decidere di esplorarne solo due, poi tornare indietro, rifocillarsi e poi continuare. Il progresso lineare semplicemente non esiste, sono i Giocatori a dover creare il proprio ordine di eventi (anzichè affidarsi a quello già prestabilito dalla Storia).
Possono anche decidere di murare vivi i mostri all’interno con Deformare la Pietra: ora, in un’avventura basata sulla Storia, questo espediente annullerebbe tutta l’avventura ! E il Master è costretto ad arrampicarsi sugli specchi per far uscire comunque il cattivo, perchè la Storia deve avere uno Svolgimento e una Fine, non può terminare all’Inizio, il cattivo deve essere affrontato ecc. ecc.
Mentre in un’avventura non-Storybased, i Giocatori in questione vengono premiati: avete usato l’astuzia, bravi ! il cattivo non può uscire, morirà di fame e voi siete liberi di dedicarvi ad un altro dungeon. Oppure potete andare ad esplorare quel castello che avete visto l’altra volta, anche se il Master non l’aveva annotato negli appunti: è il vostro nuovo obiettivo, il Master improvviserà e poi quando avrà tempo descriverà ciò che il castello contiene. Ma non descriverà gli eventi prefissati, o meglio, non creerà eventi che includano PER FORZA i personaggi: gli eventi accadranno, a seconda che i Personaggi siano nel castello o meno. Quindi non c’è alcuna Storia nel senso di un processo lineare Inizio-Svolgimento-Fine, ma solo eventi slegati… che ovviamente possono essere influenzati dalle azioni dei Personaggi, ma senza coinvolgerli obbligatoriamente ! Nell’esempio di sopra, il cattivo non potrà conquistare la città sul colle perchè i Personaggi l’hanno murato vivo, anche se io Master avevo creato un evento che lo prevedeva.
Mi rendo conto che questo può dar luogo ad ulteriori dubbi, ma non possiamo dilungarci più di tanto ovviamente ! Spero di aver fatto un pò più di chiarezza se non altro 🙂
Sì, giusto un appunto: i giocatori murano vivo il cattivo dentro il dungeon e poi vanno ad esplorare un altro dungeon. Tu stesso dici che non avevi preparato niente, che farai dunque? Quello che fanno tutti! Di fatto il cattivo è “teletrasportato” nel nuovo dungeon, insieme a tutti i suoi mostri, trappole e stanze 😉
Ciao 🙂
Ciao, l’articolo è carino e l’ho letto volentieri. Volevo farti un appunto, nella campagna imperiale di Martelli da Guerra i pg non vengono accusati di omicidio, ma una setta pensa che uno di loro sia un proprio affiliato importante (ne è il sosia) che ha riscosso una grossa somma di denaro e si sta dando alla macchia.
Volevo inoltre porti dinanzi a quello che ritengo essere un assurdo logico: se la storia è sinonimo di railroading, qualsiasi narrazione di dati fattuali all’interno di un mondo di D&D, pure con la prima edizione, lo è. Anche il solo dire “Lì sorge il castello X, là c’è il dungeon Y” e abitarli. Anche il solo proporre dei dungeon con dei corridoi solidi, lo è, perché di fatto le scelte sono predeterminate. No?
Ciao Moreno, grazie dei complimenti innanzitutto !
Per quanto riguarda Warhammer hai ragione, correggerò subito (il concetto comunque resta valido !).
Come dicevo sopra a Red Dragon, sull’equazione “Storia = Railroading” si fa presto a fare confusione !
Vediamo di chiarirci: quando parlo di “Storia” e “Railroading” parlo di una scaletta di eventi prefissati, che influenzano la sorte dei Personaggi e sono impossibili da evitare. La “Storia” come sinonimo di Railroading quindi è la trama (inclusa la partecipazione forzata dei Personaggi) già progettata dall’inizio, non la narrazione che il Master fa nel descrivere il mondo di gioco o i risultati delle azioni dei Personaggi.
Riuscirò forse a chiarire meglio il concetto prendendo come esempi le situazioni che tu citi :
1 – “li sorge il castello X o Dungeon Y” non è Railroading. Il fatto che da qualche parte ci sia qualcosa non obbliga me Giocatore in alcun modo a rapportarmi con essa. Posso esplorare il dungeon oppure no, la scelta è mia… quindi non è Storia e non è Railroading… è quello che io chiamo Scenario Aperto 🙂 Come dicevo sopra la narrazione (preferisco “descrizione”) da parte del Master di elementi insiti nell’ambientazione non è affatto “Storia”, ma solo descrizione di elementi di scena, che non implicano per forza un coinvolgimento da parte dei Personaggi se i Giocatori non lo vogliono. La Storia invece, è una situazione prefissata che include per forza i Personaggi, visti come Protagonisti; il Railroading è l’insieme di queste scene (Storie) che devono per forza includere i Personaggi, anche se i Giocatori non lo vogliono (infatti nelle avventure si ricorreva a degli escamotage più o meno palesi per far si che i Personaggi si trovassero nel luogo giusto al momento giusto).
2 – Un dungeon è nella sua struttura logica un Railroading ovviamente, perchè implica delle strade e corridoi prestabiliti e limitati di numero; però non è detto che io debba esplorare tutte le stanze e soprattutto che io debba esplorarle IN ORDINE, il che fa già un oceano di differenza rispetto al Railroading puro. I dungeon lineari per esempio sono Railroading molto più di quelli non lineari: il dungeon lineare è quello che prevede una sola via per arrivare a meta, laddove nel dungeon classico e nei megadungeon ci sono diverse scorciatoie e vie alternative per aggirare gli ostacoli che invece nel lineare devi affrontare in ordine. Per approfondire ti consiglio questo articolo di The Alexandrian, Jaquaying the Dungeon, che spiega bene la differenza tra dungeon lineari e non.
Buonasera; innanzi tutto volevo farti i complimenti per l’articolo: pur nella necessità di non dilungarsi troppo nei dettagli sei riuscito a cogliere appieno, secondo me, il nocciolo della questione. A tal proposito, anzi, volevo chiederti se pensavi ad una serie di (sette?) articoli di approfondimento di ogni fase ahahahahah.
Detto ciò, avrei il piacere di condividere l’opinione che mi sono fatto sulla quinta edizione di D&D. Premetto, ovviamente, che si tratta solo di un mio parere e come tale perfettamente non condivisibile ;).
Dunque, ciò che penso dello stile di questa nuova incarnazione di D&D si basa sulla mia esperienza diretta e sui seguenti punti chiave che sono emersi durante le sessioni cui ho partecipato come giocatore e master:
1) Iniziai a ruolare con la scatola dell’edizione delux per il 25 anno di D&D e prosegui con AD&D e poi con 3.5 ecc… Ora, proprio quando passai alla 3.5, come master provai più volte ad adattare i “vecchi” moduli TSR {la serie A, B, X ecc.. } al nuovo regolamento, incappando in difficoltà continue, in doverosi rimaneggiamenti, in veri e propri reboot ahahahah. Quando, circa 2 anni addietro, iniziai a masterare la quinta, invece, mi resi conto che i vecchi moduli si potevano adattare facilmente alle regole attuali: oggi come oggi, paradossalmente, sono arrivato al punto di sedermi al tavolo col moduletto TSR davanti riuscendo ad adattarlo “in diretta” si può dire.
2)Una mia carissima amica è proprietaria di una fumetteria qui a Catania e i sabati pomeriggi ha permesso a me e ad alcuni amici di recarmi in negozio per ruolare lì {anche se poi ci incontriamo anche in altri luoghi, in fumetteria sembra essere più semplice riunirci}. Da allora, incuriositi dalla nostra presenza, si sono uniti molti altri giocatori, quasi tutti novelli del GDR. Oggi siamo in 25: per quanto assurdo, meno di 1/5 di noi ha il manuale!. Con mia enorme sorpresa i nuovi giocatori {che mai avevano ruolato} sono riusciti ad imparare e padroneggiare, chi più chi meno, il regolamento della quinta edizione dopo 3 o 4 sessioni. Ovviamente per costruire un personaggio serve sempre che qualcuno gli presti il tomo, ma i tre pilastri base {esplorazione, interazione e combattimento} e le regole che li governano sono alla loro portata pur non disponendo del rulebook.
3) Combare razza, classe, background, equipaggiamento e magie è molto più rapido e meno complesso di prima, tanto che, quando qualche volta un Pg va incontro alla sua fine {o semplicemente il giocatore cambia Pg per provare qualcosa di diverso}, occorrono massimo tre quarti d’ora per crearne uno nuovo {alcuni lo preparano anche in meno di trenta minuti e tornano a sedersi al tavolo con un Pg nuovo di pacca nel corso della stessa sessione}
Ora, tenendo conto di questi e moltia ltri punti minori {e soprattutto per mettere fine al mio sproloquio ahahahahah} per quanto assurdo, per quanto sicuramente non condivisibile da molti giocatori più tecnici di me, io non posso fare a meno di credere che D&D quinta edizione {e il suo stile} siano l’evoluzione, anzi no, l’aggiornamento, la versione svecchiata del Basic. Esatto: per me, e per chi gioca con me, D&D 5 edizione è la nuova versione della scatola rossa, come stile, giocabilità, semplicità, spazio di manovra per il Master {grazie a Pelor per il Vantaggio/Svantaggio}. Assurdo o probabile che sia, non riusciamo a non vedere una linea diretta tra quello storico prodotto e l’attuale. Poi, è solo un parere 😉
Ciao Giovanni ! Benvenuto su GDR Magazine innanzitutto, e grazie dei complimenti 🙂
In effetti avevo pensato anche io a degli articoli di approfondimento per ciascuna fase (come hai fatto ben notare tu, ho dovuto sintetizzare al massimo): ciascuno prenderebbe in esame i capisaldi dello stile e magari una mini-recensione dei Sistemi di Riferimento… spero di trovare il tempo di scriverli, visto che ho ancora qualche recensione in sospeso ! 😀
Ti faccio ora io i miei complimenti per la tua analisi di d&d 5E, che credo colga le peculiarità dello stile associato.
Sintetizzando le tue osservazioni ne viene fuori:
1-Retrocompatibilità: effettivamente fino ad AD&D 2E tutti i d&d erano grossomodo compatibili (eccetto qualche quisquilia tipo PV e Danni), qualità che è venuta a mancare con la 3.x e soprattutto 4E. Questo potrebbe voler dire, nell’ottica dello Spirito del Gioco che abbiamo visto sopra, che è in atto una rivalutazione di tutto il materiale “vecchio” e che la comunità dei Giocatori di Ruolo grazie alla 5E ha riscoperto i classici del passato;
2-Regolamento User-Friendly: accantonata l’esasperazione per il simulazionismo dello stile Simulations & Spellcasters e per il bilanciamento a tutti i costi di Warlords & Warlocks, la 5E volge lo sguardo non più ai soloni/espertoni/min-maxers ma anche e soprattutto ai neofiti, il che ci rimanda (come giustamente dici) alla Scatola Rossa; riporta poi la Scala di Potere a quella di Knaves & Kobolds grazie alla Bounded Accuracy, che rende un gruppo di orchetti una minaccia credibile anche per gruppi di Livello Medio;
3-Rapidità: diretta conseguenza del punto 2, ma non sempre un regolamento leggero si traduce in sessioni rapide. Nella 5E penso che gran parte della velocità con cui si riesce a creare un Personaggio dipenda dall’eliminazione dei Talenti (che ora sono Opzionali e comunque meno invasivi), dalla retrocessione del Multiclassing da “essenziale” a “opzionale” e dalla riduzione delle Capacità. A livello di gioco l’inclusione dei 3 Pilastri e del Vantaggio/Svantaggio ha spostato l’equilibrio decisamente a favore del Gioco Giocato anzichè le Regole.
Condivido pienamente il tuo parere quindi: lo stile 5E (a cui dobbiamo però ancora dare un nome) rappresenterebbe una rottura decisa con Simulations & Spellcasters e Warlords and Warlocks; prende senz’altro la semplicità e l’avventura a cuor leggero da Knaves & Kobolds, anche se la struttura delle avventure è ancora legata a Paladins & Princesses (non siamo ritornati completamente alla Sandbox libera e al Megadungeon di K&K e Du&De). Lo stile è improntato all’azione ma con un maggiore accento sulla creatività e iniziativa dei Giocatori anzichè sugli elementi del Personaggio. Se non altro ci sarebbe da analizzare l’eccesso di PV dei mostri nella 5E: trovare una motivazione che giustifichi l’inclusione di questo elemento nel gioco da parte degli autori e individuarne gli effetti sullo stile (rimasuglio di W&W ? Combattimenti epici ? Oppure legato alla necessità di rendere più pericolosi anche i mostri di basso livello ma senza riempirli di Capacità Speciali come accadeva nelle edizioni precedenti).
articolo stimolante , appena posso mi unisco al discussione .
confermo i difetti di 3°\3.5 .
la gente partita da quelle edizione fà i PG come fossero mazzi di Magic .
e li sà gestire solo quando gli servono gli errori a favore , non il contrario .
Ciao Maxwell !
Beh il paragone con Magic manco a farlo apposta lo fece pure Monte Cook stesso, quando disse che nel D&D 3.x erano state messe scelte di Talenti sub-ottimali accanto a quelle ottimali (le chiamò “trappole”… per esempio il Talento che dava +3 PV). Piuttosto non sono più riuscito a trovare l’articolo in cui Monte esternava queste riflessioni (a margine della sua recensione su d&d 3.5 che ovviamente doveva un pò bastonare, visto che correggeva i “difetti” della precedente 3.0 di cui era l’autore).
Salve .
La cosa che più mi infastidii fu la chiusura mentale su come percepire le regole .
Se sul manuale ti dovevi buttare dalla finestra , lo avrebbero fatto .
Come se tutto fosse già previsto …improbabile direi .
Con LEDZ e D&D 5° ho trovato qualcosa di più malleabile .
Ciao, ottima traduzione e interessante articolo storico. Mi permetto di riaprire questo post per proporre un punto di vista un po’ diverso dal solito sulla questione del railroading.
A mio parare l’errore di fondo nella tua opinione, così come l’errore della maggior parte di master/produttori, è porre al centro della riflessione l’avventura/campagna/dungeon. Avventura/campagna/dungeon come storia giocata, oppure preparazione del master oppure modulo pubblicato. Un approccio figlio di altri media come libri, fumetti, film. Il gdr è un sistema a sé stante e se ne capiscono le potenzialità solo se si sgombera il campo dal concetto avventura/campagna/dungeon e si mette al centro di tutto il concetto di sessione. La sessione è il concetto originale del gdr, il gdr non si fa in avventure, ma in sessioni. Quando il master smette di “preparare un’avventura/campagna/dungeon” e inizia a pensare sollo alla prossima sessione, allora inizia anche il master a giocare insieme ai giocatori. Il gdr è qualcosa che si fa volta per volta, in presa diretta, qualsiasi tentativo di trasformarlo in un’attività duale (come scrivere/leggere, oppure produrre/guardare) lo sminuisce come preparare/giocare un’avventura.
La sessione è un’unità di tempo gestibile. Se il master si concentra solo sulla prossima sessione può evitare di “prepararla”, quindi di creare un effetto railroad, ma gli è sufficiente “prepararsi”. Come fa un qualsiasi giocatore che ripassa il proprio personaggio e le sue abilità. Il Master ripassa tutto ciò che è a portata di sessione dai giocatori. Quantitativamente è più roba rispetto a un giocatore, però il concetto è lo stesso. Una decina di PNG importanti che potrebbero entrare o meno in scena? Una dozzina di location interessanti che i giocatori potrebbero raggiungere o meno? Due o tre eventi che potrebbero accadere o meno? Una serie di situazioni in corso? E così la sessione può essere “giocata” invece che preparata. Cioè improvvisata dal master come dai giocatori sulla base di una approfondita conoscenza della situazione specifica in cui la sessione inizia.
Sessione dopo sessione si può stendere davanti a master e giocatori una narrazione approfondita e complessa man mano che gli eventi di ciascuna sessione influenzano PG, PNG, luoghi, eventi, ecc ecc. E un buon master “narratore” non è più quello che “prepara” una storia lineare, ma quello che ragiona “a oggetti” e crea PNG interessanti, situazioni, luoghi e eventi avvincenti e che di sessione in sessione li arricchisce e li fa evolvere senza chiedersi dove tutto ciò andrà a parare. Il master che si mette anche lui nel tempo reale della narrazione di gioco, che cioè non si pone al di sopra del tempo di gioco, pretendendo di conoscere il futuro, ma concentrandosi su un presente il cui futuro è ancora da vivere, e quindi sconosciuto a tutti, master compreso. Insomma, il gdr raggiunge il suo apice e la sua unicità quando è profondamente narrativo nei suoi elementi e allo stesso tempo immediato e in tempo reale nel suo svolgimento.
Infatti, e concludo: “il gdr è (può essere) una performance improvvisata (perché esecuzione e fruizione coincidono) che ha come residuo persistente una narrazione (nel ricordo dei partecipanti)”. Spero si sia capito cosa intendo.
Ciao Sandro, grazie per i complimenti !
Il tuo punto di vista è interessante e non è molto differente da come la vedo io (infatti non capisco dove e in che modo hai evinto, dal mio articolo, che io ponga al centro della riflessione l’avventura/campagna/dungeon).
Anche per me il gioco di ruolo è un’attività in continuo divenire, ma con un distinguo: affidarsi solo ai singoli oggetti (come li chiami tu) senza prevedere una correlazione tra essi (eventi) secondo me impoverisce l’esperienza di gioco.
Il Master deve ‘prevedere il futuro’ non per stilare un copione che i Giocatori devono seguire ad ogni costo, ma per ottimizzare la gestione del gioco: se intuisco dove i Giocatori si dirigeranno, potrò preparare in anticipo gli ‘oggetti’ (come li chiami tu) con cui interagiranno. Un Master non può e non deve affidarsi alla sola improvvisazione, perchè in questo modo manca la visione d’insieme, che non è una storia, ma una correlazione tra oggetti, png ed eventi del contenitore virtuale che egli ha creato. Se manca questa correlazione, ogni sessione sembrerà un’accozzaglia di elementi slegati tra loro; se ogni sessione non è correlata alle altre, ai Giocatori sembrerà solo di errare e vagabondare, senza mai arrivare al punto. Nella mia esperienza la soddisfazione insita nel gdr sta proprio nel constatare che ciò che fa il Personaggio influenza il mondo di gioco: se non si offre una certa continuità, una dinamica e una correlazione tra gli eventi, si perde questa cosa… per il resto però sono d’accordo con la tua opinione (diciamo che sono un pò meno estremista di te).